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SD72CA2 - Qual è lo scopo dell'educazione?
Seconda conversazione con Allan W. Anderson
San Diego, USA
16 febbraio 1972



0:22 Krishnamurti in dialogo con il Dr. Allan W. Anderson J. Krishnamurti è nato nel sud dell'India e ha studiato in Inghilterra. Negli ultimi 40 anni ha parlato negli Stati Uniti, in Europa, India, Australia e in altre parti del mondo. Dall'inizio del lavoro della sua vita ha ripudiato tutte le connessioni con le religioni organizzate e le ideologie e ha detto che la sua unica preoccupazione era liberare l'uomo totalmente e in modo incondizionato. È autore di molti libri, tra i quali 'Il risveglio dell'intelligenza', 'L'urgenza del cambiamento', 'Libertà dal conosciuto' e 'Il volo dell'aquila'. Questo è un dialogo fra Krishnamurti e il Dr. Allan W. Anderson, professore di studi religiosi presso l'Università Statale di San Diego dove insegna testi sacri indiani e cinesi e la tradizione oracolare. Il Dr. Anderson, riconosciuto poeta, ha conseguito il suo titolo presso la Columbia University e l'Union Theological Seminary. Ha ricevuto il prestigioso Premio all'Insegnamento dall'Università Statale della California.
1:33 Anderson: Mr. Krishnamurti, nel suo libro 'Educazione e il significato della vita', lei scrive sulla disciplina e ricordo, spero di ricordare bene, che lei definisce la disciplina come 'essenziale inizio' per i bambini e gli studenti nel senso che il bambino deve essere aiutato a vedere la causa del suo comportamento. Ora, l'insegnante è colui che lo aiuta in questo. Mi sembra molto chiaro che quello che lei dice è essenzialmente che la disciplina inizia piuttosto dall'insegnante. Richiede che l'insegnante stesso sia molto disciplinato. E cosa significa non solo ammonire il bambino, ma cercare di penetrare nella causa del suo cattivo comportamento?
2:38 K: Signore, cosa intendiamo con la parola 'disciplina'? Qual è il significato generalmente accettato di questa parola?
2:48 A: Penso che di solito significhi allenamento. Etimologicamente ha a che vedere con 'insegnare'.
2:58 K: Insegnare, sì. Ha a che vedere con il discepolo che impara dal maestro. È un modo di imparare in cui non ci si conforma a un modello, non ci si sottomette a un ideale, non ci si reprime per essere qualcosa. Il significato generale per come è usato oggi, implica conformità, soppressione, comparazione, addestrarsi per essere, per aderire a qualcosa come la disciplina militare e via dicendo. Tutte queste discipline creano sempre conflitto negli esseri umani.
4:00 A: Se a un bambino molto piccolo viene insegnato l'alfabeto e come scrivere le lettere, deve fare una 'A' quando prova a fare una 'A', non una 'B'.
4:16 K: No, no.
4:17 A: Ora, lei suggerisce che nel provare a fare questa 'A' e attenendosi alla forma della 'A' egli stia necessariamente generando un conflitto?
4:33 K: Probabilmente, ma vorrei piuttosto, se posso suggerire, guardare dal punto di vista dell'educatore piuttosto che del bambino. Possiamo?

A: Sì, la prego.
4:46 K: Qual è la funzione dell'educatore? Non chi viene educato, non lo studente, non il bambino, ma qual è la funzione di un insegnante istruito?
5:02 A: Ho sempre pensato che fosse duplice. Da una parte, estrarre dalla persona qualche manifestazione delle sue capacità latenti. Dall'altra, insegnare qualcosa di diverso da quello che sa già.
5:29 K: Stiamo parlando dell'educatore, dell'insegnante.
5:32 A: Sì, l'educatore.
5:33 K: Non il bambino o lo studente, l'educatore.
5:36 A: No, l'educatore, colui che educa ho sempre pensato che avesse questa duplice responsabilità.
5:42 K: Ovvero?
5:44 A: Da una parte, di estrarre dallo studente.
5:50 K: Ah no, non sto affatto parlando dello studente.
5:56 K: Qual è la funzione di un educatore? Se io sono un maestro, qual è la mia funzione? Cosa è importante?
6:05 A: Essere utile allo studente in modo tale che questi impari.
6:10 K: Perciò, l'educatore deve stabilire una relazione con lo studente che non sia gerarchica, autoritaria, lui lassù e io quaggiù, ma una relazione di reciproca indagine, studio, condivisione, comunicazione tutto questo è implicito nell'educatore, non è così? Se è un insegnante, come lo è lei, io sono uno studente. Se lei è un educatore, deve stabilire una certa relazione con me. Questa relazione è basata sul darmi delle informazioni?
7:18 A: No, no.
7:19 K: Si basa su questo senso di 'lei sa, io non so'.
7:26 A: In parte.
7:30 K: Il significato, il senso, lo sfondo autoritario del 'lei sa, io non so'; c'è un presupposto di autorità in questo.
7:47 A: Le dispiace se torniamo al bambino piccolo?
7:49 K: Sì, va bene.
7:52 A: In questo caso l'insegnante sa come fare la 'A' correttamente.
7:56 K: Ma torneremo su questo.

A: Oh, va bene.
7:59 K: Mi chiedo qual è la qualità della relazione tra il maestro e lo studente. Il maestro è più importante dello studente per il momento, poiché stiamo indagando su quale sia lo stato dell'educatore, qual è la qualità dell'educatore. Abbiamo detto che deve stabilire una relazione, una relazione in cui lo spirito autoritario manca completamente. Altrimenti, se mi tratta come un servo la nostra relazione è completamente diversa, basata su 'lei sa, io non so' questo grado di conoscenza. Lei mi impartisce delle informazioni. È tutto qui? O c'è molto di più? L'insegnante non solo stabilisce una relazione reale, in cui vuole comunicare informazioni, ma vuole anche risvegliare una qualità di intelligenza nello studente che non è solo quella dell'attività della conoscenza. È molto di più. Perciò l'educatore deve essere intelligente nel profondo senso di questo termine, non esperto.
9:46 A: No, intelligente.

K: Intelligente. L'insegnante vuole trasmettere la sua informazione in modo che lo studente nel riceverla coltivi o cresca in intelligenza, in affinamento, nella qualità della chiarezza.
10:16 A: Chiarezza.

K: Chiarezza. E vuole anche stabilire una relazione di vera amicizia, affetto sincero, amore fra sé e lo studente.
10:28 A: Sì, penso che soprattutto questo sia essenziale.
10:32 K: Sì, soprattutto questo.
10:34 A: Una delle cose che mi affascinano di un inno nei Rig Veda, è che il linguaggio della dea, compare tra amici.
10:46 K: Sì, signore.
10:47 A: É come se la capacità di comprendersi scomparisse tra i nemici.

K: Giusto.

A: La prego, continui.
10:55 K: Quando c'è questa qualità di amore, affetto, relazione, senza un senso di autorità, svegliare, coltivare o realizzare questa intelligenza nello studente è responsabilità dell'insegnante, ed è enorme. Dopo tutto, stiamo creando una nuova generazione. Questo significa che l'insegnante non può appartenere alle istituzioni, 'istituzioni' nel senso ortodosso, dell'accettazione sociale, deve essere lui stesso estremamente diverso dal resto del mondo.
11:45 A: Essere se stesso.
11:46 K: Se stesso. Non se stesso, questo implica una questione diversa.
11:50 A: No, so cosa intende. Ma deve essere autentico.
11:53 K: Deve essere autentico e avere integrità, non dire una cosa e farne un'altra. Cosicché, in presenza dell'insegnante, lo studente si senta completamente sicuro. Poiché con l'insegnante, egli è a casa. Non con i familiari, perché anche questi hanno i loro problemi, le loro ambizioni, le loro avidità, le loro liti. Lo studente con l'insegnante sente che ora finalmente c'è qualcuno che si interessa davvero.
12:38 A: C'è una domanda che mi piacerebbe molto porle Mr. Krishnamurti, su due idee di educazione apparentemente del tutto diverse. Sono sempre stato colpito dalla comprensione, che penso la cultura indiana abbia, della necessità dello studente di vivere con il maestro...
13:10 K: Sì, questa è la vecchia tradizione.
13:13 A: ... sulla base di una vera relazione interpersonale.
13:16 K: Viveva nella casa del maestro. Era parte della sua famiglia. Veniva cresciuto con i figli del maestro, così questi era il genitore (non la madre o il padre), era lui il vero genitore che se ne occupava pienamente. Quando stabilisce questo tipo di relazione con uno studente, questi vuole imparare da lei, vuole che gli parli. Diventa molto impaziente di scoprire ciò che lei sa. Perciò, quando lei mi vuole bene, c'è un sentimento molto diverso.
14:07 A: Più di un libro cartaceo! La seguo.
14:11 K: Inoltre non mi paragona a un altro studente. Se mi paragona a un altro studente, lo distrugge, perché probabilmente io sono ottuso e lei mi paragona a qualcuno che è sveglio, c'è questo conflitto. Con il paragone cresce in me la competizione. Mentre se dice: "Ti insegno, non preoccuparti, non ti confronto con nessuno". In questo modo c'è uno straordinario senso di intimità, armonia, amicizia, senza che io debba essere questo o quello. Allora la mente vuole imparare.
15:04 A: Nella nostra cultura pensiamo di comprenderlo quando ci riferiamo a quella che chiamiamo verità socratica.
15:13 K: Socratica, sì. Ma non può farlo con trecento, o quaranta, cinquanta o cento studenti in classe.
15:21 A: No, no. Allora cosa fa?
15:23 K: Questo è il punto, signore, proprio questo. Per come stanno le cose, non può fare improvvisamente una rivoluzione e avere solo dieci studenti per ogni professore o maestro. Sarebbe impossibile. Ho pensato che se l'educatore avesse questo tipo di mente e di sentimento, riconoscerebbe qualche studente, quel ragazzo, quella ragazza, mezza dozzina, e si prenderebbe più cura di loro, portandoli a casa, parlando, passeggiando, giocando con loro. Mi segue, signore, questo senso di... L'ho fatto in varie scuole ma ho smesso, in ogni posto, mi è stato detto che non c'era tempo. Ma se c'è questo sentimento di vera amicizia e affetto, amore, lo studente si sente completamente a casa. E allora può vedere quel ragazzo, quella ragazza, mi segue? Può averne mezza dozzina, e allora sono davvero i suoi figli. Sarebbero l'élite. So che nella democrazia la parola 'élite' è qualcosa di terribile, ma è l'élite. Dopo tutto, lei è l'élite di una cultura che dice di dare importanza alla religione, alla filosofia, che per lei sono importanti.
17:01 A: Penso che tendiamo erroneamente ad arrabbiarci per questo tipo di distinzione perché in fondo ciò che sicuramente si intende con 'élite' è semplicemente che qualcuno fa ciò che sa fare bene.
17:19 K: Sì, se lei è un eccellente falegname, è un élite.

A: Giusto.
17:25 K: Se ama la falegnameria, non perché guadagna otto, dieci o quindici dollari al giorno, può guadagnare quindici dollari, ma conta la cosa in sé.
17:36 A: Abbiamo generato un concetto piuttosto curioso, che mi sembra del tutto disfunzionale. E le sarei grato se volesse far luce su di esso. Non ho mai insegnato alle scuole elementari o secondarie, quindi parlo solo sulla base di ciò che ho sentito o letto. Tempo fa abbiamo iniziato, se non sbaglio, una tendenza ad allineare le performance degli studenti, così che se uno studente è dotato, brillante e si impegna nei suoi compiti, eccellerà naturalmente. Ma dobbiamo stare attenti in un modo o nell'altro a non incoraggiarlo troppo in questo.
18:32 K: Ma, signore, se io sono l'educatore, voglio che eccella.
18:37 A: Certo, certo, esattamente.
18:39 K: Non eccellere ricevendo benefici o sfruttando gli altri. Dopo tutto, se lei eccelle in qualcosa, è meraviglioso. Ma se usa questa eccellenza per schiacciarmi...
18:56 A: È disastroso.
18:58 K: È quello che accade.

A: Sì. Suppongo che il sentimento che impiegavamo fosse non molto più che sentimentale.
19:13 A: Finisce per essere crudele perché il sentimentalismo lo diventa sempre. Sì. Sì, lo so. È molto difficile spiegare questo punto in una classe di cinquanta o cento persone perché adoriamo ciò che consideriamo sentimentale.
19:29 K: Per questo, signore, credo che l'educatore sia molto più importante dello studente.
19:37 A: Sì, capisco. Sì, per questa ragione volevo sentire cosa avrebbe detto sulla disciplina che inizia dall'educatore invece che al contrario, dallo studente. C'è un'altra domanda che vorrei porle, se posso, sull'idea di un bambino che si comporti male tanto da diventare un problema disciplinare. Da un lato, c'è un approccio clinico nel quale si dice: " Vediamo cosa c'è dietro, guardiamo alla causa".
20:17 K: La causa. Un processo analitico, sì.
20:20 A: Ma il cattivo comportamento è necessariamente causato da qualcosa? Non è possibile che qualcuno decida di comportarsi male?
20:37 K: E poi diventa un nevrotico, è una cosa diversa. Ma perché nel mondo moderno i bambini sono così violenti, così disorganizzati, sa come sono, li vede in tutto il mondo. Perché? È la società in cui vivono, genitori che non li amano davvero, anche se dicono di amare i loro bambini, ma una società, un gruppo di genitori che permettono che i loro figli vengano uccisi in guerra... Mi segue?
21:33 K: Nonostante dicano che amano i loro figli piangono quando vengono uccisi in Vietnam. È questo senso, credo, di totale mancanza di amore per i figli perché sono preoccupati di sé stessi, del loro aspetto, dei capelli, dei vestiti, delle unghie. Dio, guardi le pubblicità e vedrà un enorme interesse per se stessi.
22:06 A: In base a ciò che dicevamo prima, diremmo che non vedono il figlio.
22:09 K: No, non lo vedono, non vogliono vederlo perché se lo vedessero, se vedessero cosa gli accadrà, ne sarebbero inorriditi. Così coprono tutto e li mandano a scuola o se ne liberano e la casa non è più una vera casa, e così i figli diventano delinquenti, cattivi, e tutto il resto. Ma se l'insegnante dice: "Vi darò una casa, siete i miei 'figli' mi segue, signore? Allora si crea qualcosa di nuovo. Non tutta questa enorme informazione tecnologica, che è necessaria, ma questa importanza. Così si creano persone a cui non importa di nessuno. E si hanno queste guerre continue. Se le madri in America dicessero davvero: "Guardate, amiamo i nostri figli, non permetterò più che mio figlio venga ucciso, non importa cosa accadrà, non lo permetterò più." la guerra finirebbe domani. Ma non gli importa. Si preoccupano della loro sicurezza, del loro piacere, mi segue?
23:31 A: Sì.
23:32 K: Tutta la bruttezza dell'egoismo.
23:39 A: Per molto tempo abbiamo avuto l'idea in ambito educativo che... si possa insegnare ad insegnare. Parliamo di educazione professionale, e a volte i disaccordi tra gli accademici da una parte e gli studenti in classe dall'altra, diventano piuttosto gravi. Nella sua visione dell'educazione, direbbe che si può davvero insegnare a qualcuno come insegnare?
24:24 K: Penso di sì. Signore, qual è o scopo dell'educazione? Perché voglio essere istruito? Perché dovrei esserlo? Per adattarmi a tutto questo? Per essere ucciso, combattere per il resto della mia vita, morire lottando, e morire con infiniti problemi? Qual è lo scopo dell'educazione? Conosco molte persone che eccellono in matematica, filosofia, tecnica ma la loro vita è così scadente, senza senso; lo sanno. E lo dicono: "Mio dio, sono perfino andato all'università per finire così!". A meno che non si comprenda il significato totale del vivere, essere istruiti solo per essere un ingegnere eccellente, che cosa diavolo significa?
25:30 A: Signore, alcuni hanno scritto in modo piuttosto persuasivo che la Repubblica di Platone in realtà non è un trattato politico ma una filosofia dell'educazione. Nei termini di ciò che ha detto qualcosa di ciò che Socrate commenta in quel dialogo sembra in relazione a questo. Ad esempio, l'idea di Socrate è che la giustizia sia l'ordine interno dell'anima, e che tutto il peso venga portato per sostenere l'ordine dentro di sé, così che il lavoro della giustizia che regola le cose esterne sia fatto bene. Questo deve avere qualcosa a che fare, se ho capito bene, con il requisito che l'insegnante sia innanzitutto capace egli stesso di vedere.
26:28 K: Ovviamente, signore! Se lo studente è come coloro che dicono: "Non fumate" e poi fumano... Mi segue? Non ha senso. E poi in questa questione dell'educazione, il paragone tra due studenti è distruttivo, ovviamente, e anche tutta l'idea della concentrazione. Devono imparare a concentrarsi per studiare; e quindi c'è questo enorme sforzo, per concentrarsi. Non esiste un modo diverso di farlo? Invece di forzare un bambino o uno studente a imparare a concentrarsi; mi comprende, signore? Non c'è un approccio totalmente diverso a questo problema? Penso che ci sia perché ne ho parlato un po' nelle scuole, in varie scuole dove vado.
27:44 A: Anch'io lo penso. Ma forse, se ci guardiamo intorno, è molto difficile conciliare pienamente, da una parte, l'attività dell'educazione, che ha il suo fine in sé stessa, non al di fuori, ma la pratica ha sempre un fine fuori da sé stessa. Ad esempio, un atleta si allena a correre, non solo per correre, ma per migliorare la sua corsa.
28:26 K: E migliorare in confronto a qualcuno che corre più velocemente.
28:30 A: No, il record.

K: Il record. La stessa cosa.
28:34 A: Ma non in confronto a quella persona.
28:36 K: No, per il record.

A: Il record, sì.
28:38 K: La persona viene dimenticata.
28:42 A: Ha a che fare con l'idea che devo sopportare il dolore per fare meglio di come sto facendo ora. La prego, continui.

K: Voglio dire, amo quello che faccio. Tutta la vita ho davvero amato ciò che faccio.
29:03 A: Oh, ci credo.
29:04 K: Non farei nient'altro. Non potrei farlo per soldi, per niente. Per me è come respirare. Non voglio eccellere in questo. Non voglio battere il record stabilito da Buddha, Gesù, o X, Y, Z. Non voglio diventare qualcuno, popolare, impopolare, davvero non mi interessa, perché amo davvero quello che faccio. L'amore per questo esclude qualsiasi altra cosa. E proprio questo amore è la più alta forma di eccellenza.
29:51 A: Sì, mi è appena venuto in mente che è bello vedere il suo amore. Sì, sì, capisco.
30:01 K: Se l'educatore può trasmettere questo sentimento, non a trecento studenti ma ai dieci che sente che possono fare qualcosa, questi saranno eccellenti senza competere, senza dire: "Devo battere il record". L'amore rende enormemente efficienti.
30:29 A: Penso molto all'obiezione che gli studenti fanno ai voti, coloro che non amano ricevere voti, basata soprattutto su questo concetto di un confronto personale tra loro e gli altri. Ora, ci sono altre obiezioni ai voti che mi sembrano senza alcun fondamento. Ma qui c'è un punto psicologico: se il voto è usato come un martello, allora, ovviamente, diventa del tutto disfunzionale e distruttivo. Comunque, non arriverei a dire che i voti sono inutili, poiché se l'insegnante li usa adeguatamente, dice qualcosa allo studente sulla sua prestazione rispetto ad un compito specifico.
31:29 K: Sì, lo capisco. Ma se lei come insegnante avesse davvero cinque o dieci studenti, aiuterebbe uno di questi dieci ad amare ciò che fa qualsiasi cosa sia, il giardinaggio o qualsiasi cosa, e non c'è voto in questo. Più imparo più amo. Non dico che deve avere un voto in mente su di me: mi guarda. Mi dice: "Questo non va bene, questo sì, parliamone". Mi segue? C'è questa relazione in cui tutto il senso di conformarmi al suo ideale scompare. Quindi c'è una relazione di vero affetto, e questo basta. É come la luce del sole e il fiore.
32:36 A: Non potrebbe essere che una persona possa amare i fiori, il suo giardino e occuparsene, come estimatore senza essere un giardiniere di talento?
32:50 K: Allora si studia, si scopre. Può non avere il pollice verde, e dice: "Vediamo un po'."
33:06 A: E dopo aver piantato un fiore la guarda e le chiede: "Come le sembra?" Le chiede cioè se ha lavorato bene o male nel piantare quel fiore.
33:22 K: Quindi, il modo in cui gli dice come lo ha fatto, è importante, non voti più alti o cose del genere. Il suo modo di dirmi che quello che ho fatto non va bene o che va bene, che è meraviglioso, basta il suo sguardo. Questo significa che lei deve essere estremamente sensibile.
33:50 A: Sì, sì. So quanto è vero. Perché spesso si ha la sensazione che uno studente che potrebbe non essere troppo dotato, ha comunque una capacità che non è stata ancora scoperta e messa in pratica.
34:19 K: Sì, signore, ma vede la difficoltà? Tutte le religioni si basano su questo confronto: per arrivare alla fine a sedersi accanto a dio. Ci sono tutti i metodi sacerdotali gerarchici: il prete, il vescovo, l'arcivescovo, il cardinale. Tutto il senso gerarchico è competitivo. Nella religione, gli affari, la famiglia, tutta la struttura è basata su questo. E si cresce il bambino in modo che vi aderisca. Invece se dice: "Guarda, sei mio figlio, mi occuperò di te, farò in modo che tu sia l'essere umano più meraviglioso sulla terra" in tutto, non solo dal punto di vista tecnologico, ma psicologico, spirituale, capisce? E produce un'entità piuttosto diversa.
35:35 A: Pensa che questo concetto di gerarchia sia stato mal applicato, perché tendiamo a credere che la gerarchia sia statica anziché funzionale?
35:51 K: Funzionale, sì. È funzionale, ma non implica uno status.
35:57 A: Il genitore, l'insegnante che ama la sua famiglia di studenti, è sempre un genitore. E in questo senso persiste una gerarchia funzionale; è naturale?
36:16 K: Sì, ma dopo tutto, lei può essere un eccellente ingegnere e io un cuoco. Guardi cosa accade. Lei è il miglior ingegnere e io il miglior cuoco.
36:31 A: Sì, sì. Questo è quello che intendo con funzionale.
36:33 K: Non tiriamo in ballo lo status. Lei è una Cadillac e io una Jeep!
36:44 A: La seguo.
36:45 K: Questo tocca una questione diversa, che è: esiste un progresso psicologico? Perché è quello che c'è dietro, che ci sia una crescita psicologica, interiore; migliorare sempre più. Un miglioramento di sé. É implicito tutto questo. In fondo, è la base delle cosiddette gerarchie religiose, avvicinarsi sempre più a dio. Tutto il sistema brahmanico è basato su questo. Chi nasce più in basso si evolverà gradualmente fino a diventare brahmino, e continuerà gradualmente. Come se ci fosse qualcosa come un'entità permanente dentro di noi che evolve gradualmente. O questa cosa è completamente sbagliata.
38:11 A: È molto difficile nella nostra cultura esprimere il concetto che non c'è qualcosa come un progresso essenziale.
38:19 K: Si può vedere da soli, non esiste!
38:26 K: Ciò che le persone dicono è irrilevante. Ad esempio, se c'è dolore, deve essere gradualmente eliminato o spazzato via istantaneamente?
38:44 A: Capisco. Posso farle una domanda sulla meditazione, dal momento che è ritornato alla questione del dolore. La meditazione, soprattutto negli ultimi dieci anni, ha avuto molta risonanza mediatica, come sappiamo.
39:07 K: Sì, perlopiù portata dall'oriente.
39:09 A: Sì. Vorrei sapere, ad esempio, come posso rispondere a uno studente che mi chiede: "Cosa intende Krishnamurti quando usa la parola 'meditare'"? Cosa dovrei...
39:27 K: Glielo dico. È piuttosto semplice. Come la intendiamo comunemente la meditazione è una fuga dalla vita, loro lo negheranno.
39:43 A: Oh, sì, con forza.

K: Con forza. Ma il fatto è un evitare, una fuga, un dominare la vita, le sofferenze della vita, non lavorare da sotto ma imporre qualcosa. E nella meditazione è anche implicito che deve cercare dio; che deve avere esperienze, ottenere uno stato trascendentale, attraverso varie pratiche. Conosce tutto questo.
40:16 A: Qualcosa verso cui progredire.

K: Il progresso. Questa è una cosa.
40:22 A: È l'idea comune.
40:23 K: Certo che lo è. Ed è del tutto falsa. Lei diventa il mio guru e dice: "Ho avuto un'esperienza trascendentale", qualsiasi cosa significhi, forma un sistema, e grazie alla sua barba, alla sua reputazione e al circo intorno a lei, i fronzoli e tutto il resto, io dico che ha ragione e la seguo; non capisco cosa è implicato in tutto questo, se è un'esperienza personale, se è la sua esperienza personale, non voglio la sua esperienza personale. Non ha alcun significato per me perché lei potrebbe illudersi. Ovviamente lo sta facendo, se ha un'esperienza personale di dio.
41:13 A: È sorprendente quanti studenti oggi pensano che ci sia qualcosa di esterno che possano iniziare a fare per raggiungere questo fine. Ho avuto uno studente che veniva in classe portando una piccola campana, tibetana, e questa cosa allegra vibrava ogni volta che si muoveva in classe infastidendo alcuni studenti. Ho aspettato qualche giorno; pensando che questa novità sarebbe sparita. Un giorno sono andato da lui, gli ho messo un braccio intorno alle spalle e gli ho detto: "Sai, potrebbe essere che questa campana porti in giro te." Dopo di che non l'ha più portata. Era stato capace di comprendere il punto. Per fortuna non si era offeso. É stato molto incoraggiante; ha colto immediatamente il messaggio. Forse potremmo dire che ha visto, e la campana è sparita. Non c'è stata una rinuncia progressiva alla campana. Non portare la campana tre giorni, poi due e poi uno. Sì, capisco.
42:35 K: Allora cos'è la meditazione?

A: Sì. Cos'è?
42:39 K: Signore, ecco ciò che credo. Si devono negare tutte le massime, tutte le sanzioni, tutte le cose che ha inventato la mente umana su dio, sulla meditazione, come mezzi per la realtà. Negare tutto questo, perché sono solo invenzioni umane. E tutti i riti, le cerimonie, tutte le cose contenute nelle chiese, è tutto costruito dalla mente umana. Quindi perché dovrei accettare una cosa costruita dalla mente umana? Sono degli illusi quanto me. Quindi la meditazione è purificare la mente da ogni forma di inganno.
43:41 A: A questo punto sarebbe corretto dire, anche solo parzialmente, che si tratta di un'attività clinica.
43:48 K: Clinica nel senso di non analitica.
43:53 A: Sì.
43:54 K: Quando ha detto a quel ragazzo: che era la campana a portare lui, non è clinico. Lo ha visto immediatamente. Invece le nostre menti sono abituate ad approcciarlo in modo clinico, analitico. Quindi la meditazione è questa percezione istantanea. E richiede una grande sensibilità del corpo.
44:29 A: Sì, è vero.
44:30 K: Voglio dire, alcol, carne, bere, sa, tutte queste cose devono essere messe da parte. E bisogna avere una mente molto lucida, sensibile, come nel caso della campana, il ragazzo l'ha visto subito, e perciò ha smesso. Quindi la meditazione è, nel vero, profondo, senso della parola, non clinica, non analitica, ma è vedere le cose come sono in me stesso. Ciò che sono; auto-conoscenza. E il conflitto che il sé crea, vederne la verità e terminarlo. Tutto questo è parte della meditazione. E anche avere una mente davvero calma, non coltivare una mente calma. Perché solo quando la mente è calma vediamo le cose chiaramente. Se la mia mente chiacchiera, non posso vedere bene il tappeto.
45:51 A: Sì, sembra suggerire la metafora di un lago tranquillo che riflette perfettamente la riva.
46:04 K: Sì, ma non c'è riflesso qui.
46:10 A: No, qui cessa l'analogia. Intendevo il lago nel senso di essere del tutto ricettivo.
46:20 K: Aspetti, facciamo attenzione anche a questa parola 'ricettivo'. Cosa c'è da ricevere? Chi sta ricevendo?
46:31 A: C'è ciò che è.
46:33 K: Quindi la mente, dopo aver stabilito un vero ordine, e questo può solo essere stabilito quando ha indagato il disordine in sé stessa. L'indagine e la comprensione di questo disordine portano ordine, non un ordine imposto.
46:59 A: Questo è il miracolo.
47:01 K: Quando questo è stabilito, allora la mente in questo processo diventa molto calma, molto ferma. A questo punto, cosa c'è da riflettere? O questa quiete ha il proprio impeto, la propria energia, la propria attività, che non si può dire a parole. Quando è calma, la mente non è morta. Non è vegetativa, è molto molto attenta, molto attiva, molto vitale, ed estremamente intelligente, sensibile. Ora, accade che in questo stato di quiete c'è un impeto di una dimensione completamente diversa. Per questo si deve stare molto attenti a non illudersi dall'inizio; mi segue?

A: Sì, sì.
48:21 K: E l'intera funzione della volontà è finita.
48:30 A: Sì, penso sia nella nostra cultura ciò che intendiamo con 'avere un cuore tranquillo' perché tendiamo ad associare il cuore con la volontà.
48:39 K: Ah, no, no.
48:41 A: Parliamo di cuore anche in termini di cuori e fiori. Ma il senso profondo del cuore è la sede delle facoltà.
48:51 K: Vede, quando entra davvero in questa questione della meditazione, qualsiasi sforzo cosciente di meditare non è meditazione.
49:07 A: Lo sforzo cosciente di meditare.
49:12 K: Sa, la pratica.
49:13 A: Sono le sei e mi metto a meditare. Sì, capisco cosa intende. Si dovrebbe fare sempre.
49:26 K: Poiché osserva, ascolta, guarda, vede cosa sente, mi segue? C'è quest'impeto che continua tutto il tempo, il movimento.
49:39 A: Penso sia per questo che nella nostra tradizione, parliamo di beatitudine non come uno stato, ma un'attività, quando è compresa correttamente. So che la maggioranza delle persone la vedono come uno stato, ma strettamente parlando non è così nella nostra cultura, quella beatitudine è un'attività.
50:03 K: Sì. Vede, questo porta a chiedersi se esista una realtà che non possa essere afferrata dalla mente. Qual è la relazione della mente, essendo la mente l'intelletto separato dal cuore, ha qualche relazione con la realtà? O quando la mente, il cuore e tutto l'essere sono uno, armonioso, allora c'è una relazione. Ma cercare di scoprire se c'è una relazione con l'intelletto, nel senso di analisi e tutto il resto, questo non ha relazione con l'intero. Solo quando c'è completa armonia del corpo e della mente, allora in questo stato c'è una relazione con la verità. Allora dimentichiamoci della verità, mettiamo da parte dio, e vediamo se si può stabilire una vita armoniosa. Questo è parte della meditazione e da questo derivano le cose più straordinarie.
51:55 A: Un uso scorretto della volontà corromperebbe questa capacità. Sì, si. La seguo. L'idea di meditazione come qualcosa che è davvero ininterrotta, è qualcosa che dobbiamo sottolineare molto di più.
52:19 K: Ma vede, signore, direi di non meditare se non si sa la cosa giusta.
52:28 A: Giusto.
52:30 K: Perché tutti questi signori vengono dall'oriente e insegnano meditazione.
52:41 A: Si aggancia un altro vagone, un'altra aggiunta, Sì, sì.
52:49 K: Per questo la conoscenza di sé è più importante della meditazione. Se nel comprendere sé stessi, non attraverso l'analisi, clinicamente, ma comprendere sé stessi, vedersi esattamente come si è; e quindi dare totale attenzione a ciò che si è, scoprire. Mi segue, signore?
53:13 A: Sì, questo produce una purificazione. È ciò che intendevo con la parola 'clinico' prima, non clinico come tecnica, ma il suo effetto è clinico nel senso che accade una purificazione e ora le cose...
53:30 K: In fondo, tutta la saggezza è conoscenza di sé. Non c'è saggezza nei libri. La completa comprensione di sé stessi è saggezza. E senza questa la meditazione non significa niente, è infantile.
53:52 A: Crede che possiamo, a questo punto, tornare indietro e collegare l'amore con ciò che abbiamo detto? Prima ho rimarcato che nel Rig Veda il linguaggio della dea appare tra amici. Filosofia significa, etimologicamente, 'amore per la saggezza' e forse, nel senso più profondo, può darsi che non si possa fare a meno che non si ami e si stia tra coloro che amano.
54:31 K: No, in fondo, amare qualcosa non è amore.
54:40 A: Ma, l'amore c'è, avviene...
54:41 K: No. Amo dio, amo la verità. Quando dice: "Amo la verità", allora non ama. Per noi l'amore ha molto a che fare con il piacere. Ci chiediamo: "Senza il piacere, cos'è l'amore?"
55:11 A: Devo innamorarmi per avere più piacere.
55:14 K: Dozzine di cose.

A: Sì, sì, capisco.
55:20 K: Vede, per questo tutta la questione dell'amore, piacere, sofferenza, morte, chiudiamo gli occhi di fronte a tutto ciò. Non osiamo indagare la morte, se c'è una morte.
55:45 A: No, imbellettiamo il cadavere affinché sembri vivo.
55:48 K: È un'idea spaventosa.

A: Sì, grottesca.
55:55 K: Entrare davvero nella questione della morte, l'amore, il vivere, richiede notevole intelligenza, amore e affetto, per guardare.
56:17 A: Signore, mi viene in mente una storia molto bella che penso i Sufi raccontassero su Gesù, il quale, camminando con alcune persone, incontrò il cadavere di un cane già in decomposizione. Lo shock della puzza fece loro attraversare la strada. Gesù non lo fece, si fermò e guardò, guardò davvero il cane. Quando tornò da loro vollero sapere come potesse sopportarlo. Ed egli rispose che voleva ammirare i bei denti del cane. Questa storia ha sempre significato molto per me.
57:18 K: È ciò che dicevamo al principio. Questa qualità dell'attenzione, in cui non c'è divisione. Signore, vede, accade quando lo scienziato esamina qualcosa. Esamina con il microscopio, mi segue? Non c'è divisione in quanto 'me', il professore, il grande premio Nobel che guarda con il microscopio, guarda. Penso che questa qualità del guardare, se può essere trasmessa ad uno studente, che deve guardare, prima che entri in classe, tutto il mondo, guardare dappertutto, gli alberi, gli uccelli, la bruttezza, guardare tutto, allora quando arriva in classe ha osservato, e porta con sé questo sguardo.
58:22 A: Sì. Questo mi ricorda quando ho iniziato chimica, in classe sentivo tutto su molecole, atomi e via dicendo, ma fuori c'era un bellissimo albero. E mi stupivo, guardando quell'albero, ciò che mi disturbava era che non univamo le molecole e l'albero insieme.
58:49 K: No. Io vorrei guardare l'albero completamente! Dare tutta l'attenzione a quell'albero. Poi guardiamo le molecole, in modo tale che non ci sia divisione fra l'albero e le molecole. Ha dato tutta l'attenzione all'albero, e ha dato tutta l'attenzione alle molecole. Mi segue, signore? Allora non c'è conflitto, non c'è divisione. È questa divisione, sia dentro che fuori, che crea questo caos nel mondo.